
OPINIONE
Le corporazioni Woke che fanno la guerra alle famiglie e che prendono di mira i bambini dovrebbero aspettarsi di essere prese di mira a loro volta dai legislatori del GOP
Tratto e tradotto da un articolo di John Daniel Davidson per The Federalist
Il Senato della Florida ha approvato una legge per smantellare lo status di “distretto speciale indipendente” di Walt Disney World, vecchio di mezzo secolo, un accordo in base al quale la Disney era stata autorizzata, fin dal 1968, essenzialmente a governare se stessa. Il governatore Ron DeSantis dice che lo status di autogoverno della Disney doveva essere soggetto ad una revisione, per assicurare che fosse ancora “adeguato al servizio dell’interesse pubblico”.
Bene. La Disney sta raccogliendo la sua giusta ricompensa per essersi inserita nel dibattito politico sulla legge della Florida sui diritti dei genitori, che la Disney ha perso in maniera spettacolare. I governatori e i legislatori Repubblicani in tutto il paese dovrebbero prendere appunti.
Questo è il modo di trattare con le grandi corporazioni che cercano di gettare il loro peso e di forzare le politiche Woke sugli elettori e sulle famiglie. Li si punisce, non solo perché se lo meritano, ma anche, come diceva Voltaire, per incentivare gli altri.
La Disney stava senza dubbio scommettendo che Ron DeSantis e i Repubblicani della Florida avrebbero fatto quello che i Repubblicani hanno quasi sempre fatto di fronte alle pressioni delle aziende progressiste: semplicemente fare marcia indietro.
Questo è quello che ha fatto l’anno scorso il governatore del Sud Dakota Kristi Noem, quando su ordine della NCAA ha posto il veto su una legge che avrebbe protetto gli sport femminili dagli ideologi del transessualismo. Lo stesso ha fatto il governatore dell’Arkansas Asa Hutchinson, che ha posto il veto ad una misura che vietava le mutilazioni genitali ed i trattamenti ormonali per i minorenni (veto che è stato poi superato dal parlamento statale). Lo stesso vale per l’allora governatore dell’Indiana Mike Pence, che nel 2015 ha infamemente ceduto alle pressioni aziendali ed ha cancellato una legge sulla libertà religiosa del suo stato.
In effetti, in qualsiasi altro momento e luogo, con quasi tutti gli altri governatori e legislatori Repubblicani, la Disney non avrebbe quasi certamente affrontato alcuna conseguenza per essersi intromessa nel dibattito sulla legge sui diritti dei genitori. Dopo tutto, da quando i Repubblicani esercitano effettivamente il potere contro i nemici dei loro elettori e difendono le famiglie comuni dalle potenti corporazioni progressiste? Quasi mai.
Rompendo questa tendenza, Ron DeSantis ha dato un chiaro esempio che altri governatori e legislatori statali del GOP dovrebbero seguire. Se una società come la Disney vuole inserirsi in una battaglia politica che non ha nulla a che fare con i suoi affari – in questo caso, una lotta per vietare l’istruzione in classe sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere ai bambini dalla scuola materna fino alla terza elementare – allora dovrebbe essere pronta a pagare un costo pesante.
In parole povere, le aziende che fanno quello che ha fatto la Disney, facendo pubblicamente pressioni contro il diritto dei genitori di avere voce in capitolo sull’educazione dei loro figli in materie sessualmente esplicite, si sono contrassegnate come nemiche di un popolo libero e dovrebbero essere trattate come tali. Se la Disney vuole fare la guerra alle famiglie in Florida, allora il ruolo appropriato di un governo democraticamente eletto è quello di perseguire la Disney con ogni potere a sua disposizione.
Questo significa che potrebbero perdere le agevolazioni fiscali che un tempo erano giustificate da ragioni puramente economiche. Lo stesso vale per lo status speciale di cui Walt Disney World ha goduto per tutti questi anni, governando un’area di 40 miglia quadrate nella Florida centrale come meglio credeva.
Ma non si tratta più di argomenti economici, non più. Qualsiasi merito ci fosse nella teoria che la Disney “servisse l’interesse pubblico” prima di entrare nella lotta sui diritti dei genitori è completamente svanito. Ora che la Disney ha preso posizione contro le famiglie e i genitori, non ci possono essere dubbi: la Disney non serve l’interesse pubblico in Florida, e i floridiani non le devono nulla.
I conservatori dovrebbero capirlo, ma non tutti sono disposti a farlo. Sul National Review, Charles Cooke ha deciso di opporsi alla Storia, per così dire, ed urlare: “Lo status di distretto speciale indipendente è un affare più complicato!”. La sua lamentela contro DeSantis è che non c’era bisogno di punire la Disney per la sua opposizione alla legge sui diritti dei genitori, perché la legge era passata. La Disney aveva perso, DeSantis e i Repubblicani avevano vinto. Inoltre, aggiunge, fino ad un mese fa, “lo status legale di Walt Disney World non era nemmeno un puntino sul radar del GOP. Nessun Repubblicano chiedeva che fosse rivisto, né aveva motivo di farlo”.
Cosa è cambiato nell’ultimo mese che potrebbe averli spinti a rivedere la questione? Potrebbe essere che la Disney è uscita pubblicamente come una minaccia molto reale per i genitori della Florida che invece non vogliono che i loro figli alle elementari vengano istruiti sull’orientamento sessuale e l’identità di genere? Potrebbe essere che la lotta per la legge sui diritti dei genitori ha scoperchiato la Disney come qualcosa di diverso da un semplice marchio di intrattenimento e Walt Disney World come qualcosa di diverso da un amato parco a tema per famiglie? Potrebbe essere, infatti, che l’intera vicenda abbia esposto la Disney come una forza maligna nella vita civile della Florida?
Il fatto che Charles Cooke non riesca a capirlo, e che invece attacchi DeSantis spiegando tediosamente i particolari dei distretti speciali indipendenti della Florida, mostra l’ingenuità dei conservatori in generale e dei politici repubblicani in particolare sulle società Woke che spingono programmi estremisti. Cooke sostiene che ci sono molti distretti speciali indipendenti in Florida, e che Walt Disney World “è unico non nel suo tipo ma solo nei suoi particolari”. L’aeroporto internazionale di Orlando e la Daytona International Speedway, nota, hanno uno status indipendente simile. Perché prendersela proprio con la Disney?
Chiedere è rispondersi da soli. L’Aeroporto Internazionale di Orlando o la Daytona International Speedway hanno condotto una campagna pubblica contro la legge sui diritti dei genitori, e mentre lo facevano si impegnavano a spingere un’agenda “Queer” sui bambini? No, non l’hanno fatto. L’ha fatto solo la Disney. Questo fa la differenza.
Se l’aeroporto o la società autostradale si fossero comportati come la Disney, allora Sì, i legislatori della Florida avrebbero dovuto assolutamente punirli. (Ma grazie alla revoca dello status speciale di Walt Disney World, è improbabile che l’aeroporto o la società autostradale o qualsiasi altra entità in Florida con uno status simile decida di seguire le orme della Disney, che è parte del punto).
Charles Cooke lamenta inoltre che scagliarsi contro la Disney è un errore, perché “Walt Disney World è profondamente radicata nel suolo della Florida, come risultato di accordi che i legislatori della Florida avevano fatto con essa in buona fede. Avvelenare quel terreno per un battibecco temporaneo sarebbe assurdo“.
Ma anche qui Cooke – in realtà non si tratta solo di Cooke, ma del “ceppo accomodante” della destra che lui ed il National Review rappresentano – fraintende la natura della lotta. Questo non è un “battibecco temporaneo”, come la stessa Disney ha chiarito. È una guerra ideologica e culturale che corporazioni come la Disney non smetteranno mai di condurre.
Per molti anni, solo una parte in questa guerra ha gridato di non voler dare quartiere a nessuno prima di ogni battaglia. L’altra parte ha fatto finta di non crederci e si è arresa di volta in volta, con risultati prevedibili. Infine, Ron DeSantis e i Repubblicani della Florida hanno preso il nemico in parola, ed hanno risposto di conseguenza. I Repubblicani di tutto il mondo dovrebbero fare altrettanto.
John Daniel Davidson è un senior editor di The Federalist. I suoi scritti sono apparsi sul Wall Street Journal, la Claremont Review of Books, il New York Post ed altrove.
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